di Fabio Savelli
L’angolo di osservazione è suo modo interessante. Vista da Bruxelles la (nostra) Garanzia Giovani somiglia alla tela di Penelope. Un fare di giorno e un disfare di notte. Procedendo per metafore potremmo dire che si tratti di un puzzle in cui non tutti i tasselli vanno ad incastro. Peccato, potremmo dire.
Rileva Lara Comi, europarlamentare e autore del pamphlet “A.A.A. lavoro offresi” (edizione Guerin Next, in collaborazione con Gi Group), che quei 1,5 miliardi di euro destinati al nostro Paese finiscono dispersi in mille rivoli. Ostaggio di regioni che vanno in ordine sparso. In cui la compartecipazione pubblico-privato spesso innesca delle sovrapposizioni.
A ben vedere una best-practice c’è, ed è la regione Lombardia. Preparata in realtà per tempo. Ha utilizzato la struttura precedente, per così dire, del programma Dote Lavoro.
Scrive Comi che “è la regione che registra i migliori risultati in termini occupazionali, risultati che sono portati da un sistema di intervento costruito e gestito in modo integrato che massimizza l’investimento di risorse destinate alla formazione”.
La parola chiave per un efficace funzionamento del programma è competitività. La buona riuscita di Garanzia Giovani – annota Comi - sta tutta nella competizione tra agenzie private per il lavoro e centri per l’impiego pubblici. L’unica che ha un modello similare è la regione Campania pur in assenza di un tessuto industriale di pari livello.
Dice Comi che l’anello mancante del programma Ue finora è stato anche il basso coinvolgimento delle piccole e medie imprese. Potremmo definirla asimmetria informativa. Sono i Piccoli – anche nelle regioni del Nord Est – a non conoscere tutte le possibilità e gli incentivi alla base del progetto. Responsabili a ben vedere anche le associazioni di categoria che hanno comunicato poco Garanzia Giovani.
Ecco perché a distanza di quasi due anni dall’avvio del programma il quadro è quasi impietoso. Recupereremo?
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